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Tra l'essere e il divenire

Il Mito

Tra l'essere e il divenire

Nella mitologia, Itaca è la patria dell’eroe Ulisse. Partito per un lungo viaggio ricco di avventure, al suo ritorno gli sembra quasi di non rispecchiarsi più in quella che un tempo considerava la sua terra. Perchè, secondo il mito, Ulisse non fa salti di gioia quando riapproda a Itaca?
Dal mio punto di vita la realtà non è mia quella che appare, ma anzi è sempre più complessa. Infatti, volendo leggere questo mito in chiave simbolica e contemporanea, potremmo paragonare l’isola di Itaca a quella parte della nostra vita che oggi viene definita “comfort zone”, mentre tutte quelle terre e peripezie in cui si imbatte Ulisse posssono alludere al “fuori”, al “diverso”, tutto ciò che non rientra nella nostra sfera di sicurezza e quotidianità.
Non tutti nell’arco della propria vita hanno il coraggio di metttersi alla prova e di affrontare sfide ardue come quelle affrontate da Ulisse, come partire per un viaggio all’estero, studiare o lavorare in una città diversa dalla propria, imparare una nuova lingua, provare a sciare, a ballare, a compiere cioè una serie di azioni che potrebbero alterare il proprio equilibro. Molti scelgono la strada più comoda e semplice anche solo per paura, magari hanno mezzi e opportunità ma vengono trattenuti da preoccupazioni riguardo alle ripercussioni che scelte di questo calibro potrebbero avere sulla loro vita.
Personalmente, da quando ho iniziato il liceo, ho una percezione della vita e del mondo completamente diversa, pensavo di sapere quello che avrei voluto per la “Rosaria del futuro” ed ero sicura di poter raggiungere tutti gli obbiettivi che mi sarei posta. Solo ora mi rendo conto quanto fosse limitato il mio punto di vista e quanto i miei occhi fossero annebbiati dalle manie di grandezzza di una giovane ragazza con mille sogni che le frullano in testa. Avevo in mente degli ideali di perfezione, delle “idee”, ma non mi ero mai posta il problema di confrontarmi con tutte quelle “copie” presenti nel mondo, cioè con tutte quelle sfaccettature che inizialmente sembrano insignificanti, di piccola importanza, ma che poi si rivelano dei veri e propri monti insormontabili, lastricando di infinite “copie”la via per raggiungere l’”idea” che, tuttavia, sembra essere sempre più lontana, trascendente, troppo perfetta per materializzarsi dalla nostra mente al mondo fisico. Iscrivermi ad una scuola più grande della mia precedente, prender parte a numerosi progetti e iniziative, ma soprattutto viaggiare, sono solo una minima parte delle esperienze che hanno permesso alla mia mente di guardare oltre e rompere tutti quelli schemi, ideologie, sicurezze che avevo. Il viaggio in Australia, il più significativo che abbia mai fatto fin’ora, mi ha davvero aperto gli occhi sulla moltitudine di realtà che c’è fuori la mia comfort zone: ho assistito a come quelli che io consideravo dei punti fermi, quasi dei valori universali, vengano facilmente ignorati da popoli di culture diverse. Viaggiando ho imparato molto: la vita non è sempre rose e fiori, la strada bisogna spiaganrsela da soli con le proprie forse, l’ipocrisia e la corruzione dilagano del mondo, nessuno è davvero disposto a porgerti sempre una mano nei momenti di bisogno, il mondo, la vita non sono come nei film, non c’è sempre un lieto fine.
Ho iniziato a credere che forse, per certi versi, avevano ragione i Sofisti nell’affermare che ad avere la meglio è sempre il più “utile”. In questo caso trovo maggiormente adatto l’aggettivo “scaltro”, “furbo” o “dinamico”: infatti, visitando città per me nuove, tra un volo e l’altro, ho compreso come l’abilità di saper fronteggiare una qualsiasi situazione, anche banalmente farsi capire da chi hai difronte, sia utile non soltanto quando si è fuori dalla propria zona di comfort, ma anche nella propria quotidianità, che inaspettatamente può mutare, da un momento all’altro.
Dunque, ogni volta che sono scesa dall’aereo toccando nuovamente il suolo della mia adorata Italia, ho portato con me nuove esperienze e consapevolezze che hanno contribuito a modificare quella che prima era la mia idea di Itaca.
Quindi, un poò come Ulisse, anch’io appena tornata nella mia terra natia ho sentito il desiderio di tornare indietro, a quella che era stata la mia vita in Portogallo, Spagna o Australia. Perché? Semplice, perchè ogni volta che si ha il coraggio di uscire dalla propria comfort zone e mettersi in gioco, si vivono sulla propria pelle esperienze, sensazioni, vengono affronati contesti che probabilmente mai prima di allora si pensava di dover trattare. Si vivono cioè dei piccoli frammenti di vita che, nonostante la loro breve durata, sono in grado di rivoluzionare la visione che si ha del mondo.
E chi resta a Itaca invece? La mitologia, così come la maggioranza dei posteri, si è sempre dedicata a descrivere le avventure di Ulisse lontano da Itaca, ma non dobbiamo dimenticare che non tutti cloro che restano nella propria “Itaca” sono da considerarsi restii al progresso o alla conoscenza. Consideriamo ad esempio Penelope: la mitologia la fa apparire come una donna che aspetta costantemente il marito rinunciando a concedersi ai vari spasimanti che la corteggiano, una donna che passa le proprie giornate in un sentimento di angosciante preoccupazione per il marito, non aspettando altro che vederlo tornare. In realtà però, la figura di Penelope è molto più complessa di come appare. In assenza del marito, infatti, è costretta a rimboccarsi le maniche per portare avanti il regno, a mettere in pratica le sue abilità in quanto madre e regina. Dunque, per la Filosofia, Penelope dovrebbe essere considerata una “sapiente” perché sceglie di non mettere in discussione le proprie sicurezze, rifiutandosi di entrare in contatto con nuove realtà e conoscenze. Tuttavia, dal mio punto di vista, Penelope in assenza del marito capisce di dover perdere le redini, un po’ come hanno fatto le donne durante la guerra i cui mariti erano partiti per il fronte, ed è proprio questa sua consapevolezza che non la rende una totale “sapiente”. Poiché se lo fosse stata realmente, allora, proprio come narra il mito, si sarebbe sempre comportata come una moglie che sofferente e timorosa prega per il marito partito. Invece, nonostante le preoccupazioni per l’amato, sceglie di agire: non resta sulle proprie convinzioni, si assume responsabilità di pertinenza maschile adempiendo pienamente ai suoi compiti di regina.
Quindi, per rispondere alla domanda “Cos’è Itaca per te?”, posso affermare che in questi momenti della mia vita vedo Itaca come un posto sicuro per me, un nido in cui tornare durante le tempeste. La mia famiglia, l’Italia, l’Abruzzo, ad esempio, fanno parte della mia Itaca. Però, per quanto io ami la ami, sento la necessità di continuare ad rompere le barriere della mia comfort zone per diventare una ragazza e una donna migliore di quello che sono ora.
Così come noi esseri umani siamo soggetti al cambiamento, sia esso fisico o mentale, anche l’Itaca di ognuno di noi muta nel tempo in base a ciò che siamo stati, che siamo e che saremo perché tutto ciò che viviamo di diverso dall’ordinario consente ai nostri occhi di vedere l’intero mondo sotto una luce diversa. Dunque né l’essere umano, nè l’Itaca di ognuno di essi ha le caratteristiche dell’essere di Parmenide.
Inoltre, a ben pensarci, se l’Itaca di ogni uomo non fosse cambiata nel corso dei secoli, se l’uomo avesse condotto costantemente una vita passiva con il timore di far proprie, se pur gradualmente, tutte quelle scoperte ed invenzioni passate alla storia, saremmo davvero la società che siamo? Il mondo sarebbe davvero ciò che é?

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